Stralcio tratto da "Animali e uomo: l'esempio della volpe"
R. Pilli - R. De Battisti
La volpe [Vulpes vulpes (Linnaeus)] è probabilmente il carnivoro più diffuso nel nostro Paese, potendo frequentare le aree boscate così come le zone costiere, le praterie di alta quota e le periferie dei centri abitati. Per questo motivo, tale specie spesso si colloca al vertice della piramide ecologica in ambienti nei quali di rado sono presenti predatori di grossa taglia, come la lince [Lynx linx (Linnaeus)] o il lupo [Canis lupus (Linnaeus)]. Questa estrema adattabilità dipende soprattutto dall'opportunismo che contraddistingue sia i moduli comportamentali sia la dieta della volpe. Nel primo caso ciò si manifesta, ad esempio, nella capacità di utilizzare ricoveri eterogenei, quali tane scavate dal tasso, anfratti naturali e persino tubature per lo sgrondo delle acque.
Il secondo aspetto, forse determinante, è invece legato all'ampiezza e alla flessibilità dello spettro trofico, nel quale possono rientrare oltre a mammiferi e uccelli (o loro uova) anche frutta, insetti, anfibi, rettili, lombrichi, nonché materiale di natura antropica reperito tra i rifiuti (fig I ).
Ciascuna categoria alimentare può, in taluni periodi o ambienti, assumere un'importanza fondamentale nella dieta: ad esempio nell'area mediterranea, come nel Parco Naturale della Maremma (Cavallini & Volpi, 1996), e più in generale nella stagione autunnale, la frutta rappresenta l'alimento principale; in inverno invece, soprattutto nella fascia alpina e prealpina, prevale lo sfruttamento di piccoli mammiferi.
Lo spettro trofico vario e in genere equilibrato nell'utilizzazione delle diverse risorse fa sì che anche la nicchia ecologica occupata dalla volpe sia estremamente ampia (Prigioni, 1991). Proprio quest'elemento può far sì che vi sia una sovrapposizione tra la nicchia trofica del canide e quella di altre specie ed in particolare dei mustelidi che, per diffusione, taglia corporea ed abitudini alimentari, presentano probabilmente le maggiori affinità con la volpe.
Interazioni volpe-uomo
Dato il ruolo svolto nell'ecosistema e l'opportunismo che la caratterizza, la presenza della volpe comporta in genere una serie di interazioni con quella dell'uomo nel medesimo ambiente. La predazione nei confronti di animali di bassa corte (essenzialmente conigli e avicoli) può provocare dei danni economici diretti nei confronti delle attività antropiche. Il prelievo naturalmente può riguardare anche specie cacciabili, quali lepre [Lepus europaeus (Pallas)] e capriolo, ed avere perciò delle conseguenze anche sull'attività venatoria. Non si può trascurare poi il fatto che la volpe rappresenti in natura il serbatoio epidemiologico della rabbia silvestre, nonché il possibile anello di congiunzione (per il contatto con cani e gatti) con il ciclo urbano della medesima malattia. A volte è l'uomo stesso a favorire la presenza del predatore anche in territori di per sé inospitali per la fauna selvatica come le periferie urbane. Queste aree possono rappresentare delle zone "di fatto protette" poiché da un lato non vi è, per ovvi motivi, alcun tipo di attività venatoria a carico del camivoro, e dall'altro sono invece largamente disponibili punti di ricovero (vecchi edifici abbandonati, tombini) e di alimentazione (discariche e cumuli di rifiuti in genere).
Il contesto territoriale nel quale si colloca la volpe diviene quindi determinante per il manifestarsi delle interazioni presentate in figura 2.
Nelle aree non-protette spesso la volpe è soggetta ad un certo prelievo venatorio che tuttavia, con il solo ricorso ai mezzi selettivi di caccia ammessi dall'attuale nommativa, difficilmente è in grado di limitame la densità.
Ciò è dovuto a vari fattori, quali l'ampia valenza ecologica della specie, il facile insorgere di condizioni favorevoli all'immigrazione di altri individui da aree adiacenti e il temporaneo venir meno delle cause limitanti la crescita delle popolazioni volpine. Per questo motivo in genere la caccia non consente di limitare significativamente né i danni economici diretti né quelli arrecati indirettamente all'attività venatoria. Per i primi la soluzione migliore è rappresentata da adeguate misure di prevenzione, quali recinzioni e cavi predisposti per il passaggio di corrente a bassa tensione (Toso & Giovannini, 1991). Per l'adozione di tali provvedimenti, che comunque presentano dei costi piuttosto contenuti, spesso è possibile usufruire di contributi pubblici elargiti da enti parco e province. Inoltre i medesimi enti corrispondono in genere anche dei risarcimenti a privati che denuncino di aver subito tali danni. Questi ultimi sembrano comunque essere abbastanza marginali, soprattutto se confrontati con quelli arrecati da altre specie. Considerando ad esempio i danni arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole e agli allevamenti nella regione Emilia-Romagna nel periodo 1989-1993 (valutati sulla base dei finanziamenti erogati a titolo di risarcimento dalla regione) si osserva come l'incidenza della volpe sull'ammontare complessivo dei danni sia pari soltanto all'1,33% (contro ad esempio il 30.8% del cinghiale ed il 23,7% della lepre) (Cesari et al., 1997). E interessante anche notare come, nella stessa regione, I'incidenza di tali danni risulti limitata anche nei parchi e nelle oasi pur trattandosi di aree ove non si svolge alcun tipo di attività venatoria a carico della specie.
Per quanto riguarda la predazione a carico di selvaggina, in generale si ritiene che essa non influenzi né la distribuzione né la densità pre-riproduttiva delle specie interessate (Toso & Giovannini, I.c.). Se infatti da un lato, in alcune aree, il prelievo nei confronti di capriolo, lepre e tetraoni di può essere rilevante, dall'altro vi sono anche numerose zone in cui tale fenomeno può in realtà rivestire un ruolo marginale nella dieta del carnivoro, consistendo frequentemente non tanto in una ricerca attiva (ad esempio nei confronti della lepre) quanto piuttosto in un rinvenimento casuale (Rosa et al., 1991), che almeno in parte interessa individui già morti. Anche le conseguenze per le attività di caccia perciò potrebbero essere trascurabili e andrebbero, data la variabilità che può presentare lo spettro trofico, valutate in ciascuna zona con apposite ricerche.
In ogni caso all'interno di un'area protetta ove manchino elementi naturali di contenimento delle popolazioni di selvatici, I'azione di predazione della volpe, per quanto limitata, non può che essere valutata positivamente non solo da un punto di vista ecologico ma anche per il possibile effetto limitante nei confronti dei danni arrecati da altre specie come ad esempio la lepre.
Di non secondaria importanza è anche il ruolo svolto dal camivoro nella trasmissione del virus della rabbia silvestre ad altri mammiferi.
Anche in questo caso, come nei precedenti, il mezzo migliore per contrastare un'eventuale epidemia non è dato dalla caccia, che favorirebbe une continua immigrazione di individui da altre zone, ma dalla vaccinazione orale mediante esche (Giovannini & Prosperi, 1991).
E tuttavia necessario un costante monitoraggio, mediante l'abbattimento di alcuni esemplari, della popolazione volpina presente in un dato territorio al fine di individuare tempestivamente la comparsa di eventuali focolai della malattia.
La possibilità di trasmissione di questa e di altre malattie (come la trichinellosi) all'uomo è comunque molto remota: durante l'ultima epidemia di rabbia verificatasi nel nostro paese (negli anni '80) non si è verificato alcun caso di contagio nei confronti dell'uomo (Cassola, 1992).
Più importante è invece il ruolo svolto dalla volpe come serbatoio epidemiologico di malattie comuni anche al cane, con il quale naturalmente l'uomo ha maggiori possibilità di contatto.
Il camivoro infatti, se infetto, può trasmettere il virus anche ad animali domestici con i quali possono esserci incontri occasionali soprattutto presso le discariche che , pur controllate, presentano delle misure del tutto inefficaci nei confronti della volpe, e inoltre è tuttora frequente, specie nei piccoli centri, l'abitudine di utilizzare forre, piccole cavità o semplicemente i margini dei boschi per il deposito di rifiuti domestici di varia natura.
E opportuno anche sottolineare come, in generale, gli individui che si alimentano abitualmente di materiale di origine antropica presentino uno spettro trofico ristretto rispetto ad altri riducendo l'utilizzo di fonti nutritive naturali come frutta, insetti, lombrichi ed altro (Pilli, I.c. ). E perciò estremamente importante, in primo luogo nelle aree protette, eliminare ogni possibilità di accesso alle discariche nonché la presenza di altri eventuali punti di deposito di rifiuti, non solo per motivi di carattere sanitario, ma anche come misura necessaria per valorizzare le potenzialità e il ruolo svolto dalla volpe nell'ecosistema.
R. Pilli - R. De Battisti
La volpe [Vulpes vulpes (Linnaeus)] è probabilmente il carnivoro più diffuso nel nostro Paese, potendo frequentare le aree boscate così come le zone costiere, le praterie di alta quota e le periferie dei centri abitati. Per questo motivo, tale specie spesso si colloca al vertice della piramide ecologica in ambienti nei quali di rado sono presenti predatori di grossa taglia, come la lince [Lynx linx (Linnaeus)] o il lupo [Canis lupus (Linnaeus)]. Questa estrema adattabilità dipende soprattutto dall'opportunismo che contraddistingue sia i moduli comportamentali sia la dieta della volpe. Nel primo caso ciò si manifesta, ad esempio, nella capacità di utilizzare ricoveri eterogenei, quali tane scavate dal tasso, anfratti naturali e persino tubature per lo sgrondo delle acque.
Il secondo aspetto, forse determinante, è invece legato all'ampiezza e alla flessibilità dello spettro trofico, nel quale possono rientrare oltre a mammiferi e uccelli (o loro uova) anche frutta, insetti, anfibi, rettili, lombrichi, nonché materiale di natura antropica reperito tra i rifiuti (fig I ).
Ciascuna categoria alimentare può, in taluni periodi o ambienti, assumere un'importanza fondamentale nella dieta: ad esempio nell'area mediterranea, come nel Parco Naturale della Maremma (Cavallini & Volpi, 1996), e più in generale nella stagione autunnale, la frutta rappresenta l'alimento principale; in inverno invece, soprattutto nella fascia alpina e prealpina, prevale lo sfruttamento di piccoli mammiferi.
Lo spettro trofico vario e in genere equilibrato nell'utilizzazione delle diverse risorse fa sì che anche la nicchia ecologica occupata dalla volpe sia estremamente ampia (Prigioni, 1991). Proprio quest'elemento può far sì che vi sia una sovrapposizione tra la nicchia trofica del canide e quella di altre specie ed in particolare dei mustelidi che, per diffusione, taglia corporea ed abitudini alimentari, presentano probabilmente le maggiori affinità con la volpe.
Interazioni volpe-uomo
Dato il ruolo svolto nell'ecosistema e l'opportunismo che la caratterizza, la presenza della volpe comporta in genere una serie di interazioni con quella dell'uomo nel medesimo ambiente. La predazione nei confronti di animali di bassa corte (essenzialmente conigli e avicoli) può provocare dei danni economici diretti nei confronti delle attività antropiche. Il prelievo naturalmente può riguardare anche specie cacciabili, quali lepre [Lepus europaeus (Pallas)] e capriolo, ed avere perciò delle conseguenze anche sull'attività venatoria. Non si può trascurare poi il fatto che la volpe rappresenti in natura il serbatoio epidemiologico della rabbia silvestre, nonché il possibile anello di congiunzione (per il contatto con cani e gatti) con il ciclo urbano della medesima malattia. A volte è l'uomo stesso a favorire la presenza del predatore anche in territori di per sé inospitali per la fauna selvatica come le periferie urbane. Queste aree possono rappresentare delle zone "di fatto protette" poiché da un lato non vi è, per ovvi motivi, alcun tipo di attività venatoria a carico del camivoro, e dall'altro sono invece largamente disponibili punti di ricovero (vecchi edifici abbandonati, tombini) e di alimentazione (discariche e cumuli di rifiuti in genere).
Il contesto territoriale nel quale si colloca la volpe diviene quindi determinante per il manifestarsi delle interazioni presentate in figura 2.
Nelle aree non-protette spesso la volpe è soggetta ad un certo prelievo venatorio che tuttavia, con il solo ricorso ai mezzi selettivi di caccia ammessi dall'attuale nommativa, difficilmente è in grado di limitame la densità.
Ciò è dovuto a vari fattori, quali l'ampia valenza ecologica della specie, il facile insorgere di condizioni favorevoli all'immigrazione di altri individui da aree adiacenti e il temporaneo venir meno delle cause limitanti la crescita delle popolazioni volpine. Per questo motivo in genere la caccia non consente di limitare significativamente né i danni economici diretti né quelli arrecati indirettamente all'attività venatoria. Per i primi la soluzione migliore è rappresentata da adeguate misure di prevenzione, quali recinzioni e cavi predisposti per il passaggio di corrente a bassa tensione (Toso & Giovannini, 1991). Per l'adozione di tali provvedimenti, che comunque presentano dei costi piuttosto contenuti, spesso è possibile usufruire di contributi pubblici elargiti da enti parco e province. Inoltre i medesimi enti corrispondono in genere anche dei risarcimenti a privati che denuncino di aver subito tali danni. Questi ultimi sembrano comunque essere abbastanza marginali, soprattutto se confrontati con quelli arrecati da altre specie. Considerando ad esempio i danni arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole e agli allevamenti nella regione Emilia-Romagna nel periodo 1989-1993 (valutati sulla base dei finanziamenti erogati a titolo di risarcimento dalla regione) si osserva come l'incidenza della volpe sull'ammontare complessivo dei danni sia pari soltanto all'1,33% (contro ad esempio il 30.8% del cinghiale ed il 23,7% della lepre) (Cesari et al., 1997). E interessante anche notare come, nella stessa regione, I'incidenza di tali danni risulti limitata anche nei parchi e nelle oasi pur trattandosi di aree ove non si svolge alcun tipo di attività venatoria a carico della specie.
Per quanto riguarda la predazione a carico di selvaggina, in generale si ritiene che essa non influenzi né la distribuzione né la densità pre-riproduttiva delle specie interessate (Toso & Giovannini, I.c.). Se infatti da un lato, in alcune aree, il prelievo nei confronti di capriolo, lepre e tetraoni di può essere rilevante, dall'altro vi sono anche numerose zone in cui tale fenomeno può in realtà rivestire un ruolo marginale nella dieta del carnivoro, consistendo frequentemente non tanto in una ricerca attiva (ad esempio nei confronti della lepre) quanto piuttosto in un rinvenimento casuale (Rosa et al., 1991), che almeno in parte interessa individui già morti. Anche le conseguenze per le attività di caccia perciò potrebbero essere trascurabili e andrebbero, data la variabilità che può presentare lo spettro trofico, valutate in ciascuna zona con apposite ricerche.
In ogni caso all'interno di un'area protetta ove manchino elementi naturali di contenimento delle popolazioni di selvatici, I'azione di predazione della volpe, per quanto limitata, non può che essere valutata positivamente non solo da un punto di vista ecologico ma anche per il possibile effetto limitante nei confronti dei danni arrecati da altre specie come ad esempio la lepre.
Di non secondaria importanza è anche il ruolo svolto dal camivoro nella trasmissione del virus della rabbia silvestre ad altri mammiferi.
Anche in questo caso, come nei precedenti, il mezzo migliore per contrastare un'eventuale epidemia non è dato dalla caccia, che favorirebbe une continua immigrazione di individui da altre zone, ma dalla vaccinazione orale mediante esche (Giovannini & Prosperi, 1991).
E tuttavia necessario un costante monitoraggio, mediante l'abbattimento di alcuni esemplari, della popolazione volpina presente in un dato territorio al fine di individuare tempestivamente la comparsa di eventuali focolai della malattia.
La possibilità di trasmissione di questa e di altre malattie (come la trichinellosi) all'uomo è comunque molto remota: durante l'ultima epidemia di rabbia verificatasi nel nostro paese (negli anni '80) non si è verificato alcun caso di contagio nei confronti dell'uomo (Cassola, 1992).
Più importante è invece il ruolo svolto dalla volpe come serbatoio epidemiologico di malattie comuni anche al cane, con il quale naturalmente l'uomo ha maggiori possibilità di contatto.
Il camivoro infatti, se infetto, può trasmettere il virus anche ad animali domestici con i quali possono esserci incontri occasionali soprattutto presso le discariche che , pur controllate, presentano delle misure del tutto inefficaci nei confronti della volpe, e inoltre è tuttora frequente, specie nei piccoli centri, l'abitudine di utilizzare forre, piccole cavità o semplicemente i margini dei boschi per il deposito di rifiuti domestici di varia natura.
E opportuno anche sottolineare come, in generale, gli individui che si alimentano abitualmente di materiale di origine antropica presentino uno spettro trofico ristretto rispetto ad altri riducendo l'utilizzo di fonti nutritive naturali come frutta, insetti, lombrichi ed altro (Pilli, I.c. ). E perciò estremamente importante, in primo luogo nelle aree protette, eliminare ogni possibilità di accesso alle discariche nonché la presenza di altri eventuali punti di deposito di rifiuti, non solo per motivi di carattere sanitario, ma anche come misura necessaria per valorizzare le potenzialità e il ruolo svolto dalla volpe nell'ecosistema.